Flavio Babini
Nasce nel 1954 a Faenza, dove vive tuttora.
Appassionato di volo fin da bambino, ha conseguito a soli 17 anni il Brevetto di Pilota civile a Ravenna. Entrato in Accademia Aeronautica con il Corso Orione 3° nel 1973, si è laureato in Scienze Aeronautiche ed ha al suo attivo più di tremila ore di volo. Ha comandato il 101° Gruppo presso la base di Cervia nel 1990 ed ha svolto importanti incarichi presso la NATO.
Ha conseguito l’abilitazione a volare sul Cessna 150 e 172, Piaggio P 148, Siai 208 M, Macchi MB 326 e MB 339, Fiat G 91 T e G 91 Y (su quest’ultimo Caccia-Bombardiere-Ricognitore ha quasi raggiunto le 2.000 ore di volo); ha volato con istruttore a bordo su Mirage V (BE), Jaguar (UK), Alpha Jet (GE), F 5 (SP), TF 104 G (IT), HH3F (IT), NATO E 3A AWACS.
Non pago di avventure aeronautiche, è anche istruttore di volo civile.
Nella non breve esperienza nell’Aeronautica Militare l’autore ha vissuto circostanze importanti, quali:
- l’ultimo decennio della Guerra Fredda, probabilmente il più drammatico e carico di tensioni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e anche il più rischioso per i piloti di prima linea sui Caccia Bombardieri, che in quegli anni volavano prevalentemente a quote bassissime e a velocità sempre più elevate per eludere i radar;
- il trasferimento per tre anni al Quartier Generale della NATO a Mons, in Belgio, dove, dall’ufficio del Movement Operations Section, nel dicembre 1995 ha contribuito per la parte aerea alla pianificazione e monitorizzazione del primo e più imponente intervento di Peace Enforcement della NATO: l’invio di 70.000 soldati in assetto da guerra in Bosnia, in pieno inverno, nell’ambito dell’Operazione Joint Endeavour;
- l’Operazione Giotto, connessa con il Meeting di otto Capi di Stato e Primi Ministri denominato G-8, nel luglio 2001 a Genova. L’autore, in veste di Capo Ufficio Pianificazione e Tasks di tutta l’Aeronautica Militare, è stato coinvolto in prima persona nell’organizzazione della difesa aerea del Meeting. Questo evento segnò una svolta innovativa nell’impiego degli assetti aerei (elicotteri inclusi) dell’Aeronautica italiana e tale modalità d’impiego si è poi ripetuta per circostanze similari al G-8;
- l’invio per diversi mesi, dopo l’11 settembre 2001, presso il Coalition Coordination Center di Tampa (Florida- USA), diretto all’epoca dal Generale USA Tommy Franks, operando fin dall’inizio, con i colleghi piloti statunitensi, in un nuovo tipo di guerra: quella al terrorismo islamico;
- la partecipazione, per quattro anni, al programma di ammodernamento del “radar volante” AWACS presso l’International Military Staff del Comando NATO di Bruxelles in qualità di coordinatore.
DOMANDA: Come è nata in lei la passione del volo?
Mio padre, Enrico, da giovane è stato pilota militare. Ha iniziato nel 1937, a soli 18 anni, conseguendo il brevetto di Pilota civile sul velivolo AS-1 all’aeroporto “La Spreta” di Ravenna. Per quell’epoca possedere una bicicletta era già molto, per cui diventare addirittura piloti era un fatto eccezionale. Quando nel 1940 l’Italia è purtroppo entrata in guerra, mio padre è stato subito arruolato nella Regia Aeronautica ed inviato al corso di pilotaggio sul Breda 25 per conseguire il Brevetto di Pilota Militare. Ed è così che poi ha volato sui caccia CR32, CR42, G50, Macchi 200 e per ultimo il Macchi 202. Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, mio padre volava nel 23° Gruppo del 3° Stormo, di base a Cerveteri, vicino a Roma. A causa di quell’evento, il 3° Stormo venne sciolto e tutti furono lasciati liberi di rientrare a casa. Mio padre iniziò allora una nuova vita come camionista lavorando per una ditta di Milano, ma la passione del volo gli è sempre rimasta e me l’ha trasmessa, tant’è che anch’io presi il Brevetto di Pilota Civile a Ravenna, all’età di soli 17 anni, e due anni dopo varcai l’ingresso dell’Accademia Aeronautica. Il libro “Buon volo, Maggiore” l’ho dedicato proprio a mio padre che mi ha trasmesso questa passione.
DOMANDA: Perché ha iniziato a scrivere libri?
Scrivere un libro è stata una sorpresa anche per me, non ci avevo mai pensato né ritenevo di esserne in grado. Tale esigenza è emersa dopo essere stato trasferito da Cervia, sede del 101° Gruppo Caccia Bombardieri e Ricognitori, verso un Quartier Generale del nord Italia. Ho reagito alla prolungata ed improvvisa inattività di volo con ripetuti incubi notturni: sognavo che dovevo volare, ma immancabilmente un imprevisto me lo impediva. Addirittura una notte ho sognato che, mentre facevo i controlli esterni pre-volo al mio jet, un pilota molto più giovane di me è salito sull’aereo ed ha iniziato la procedura di messa in moto. Infuriato, sono salito in cima alla scaletta ed ho incominciato a schiaffeggiarlo. Dopo quel terribile incubo ho pensato che nei momenti di nostalgia più acuta potevo scrivere e “romanzare”, con tratti umoristici, i ricordi dei tanti miei voli o di quelli dei miei colleghi. In seguito ho fotocopiato alcune caricature di piloti appartenuti al 101° una dozzina di anni prima, che non avevo mai conosciuto, e ho cominciato ad abbinare ad ogni racconto di volo ora l’una ora l’altra di queste immagini. Questi piloti erano legati tra loro dal forte spirito di corpo e goliardia che c’era un tempo all’interno dei Gruppi di volo, divisi da sempre da una sola rivalità: l’essere piloti di caccia-bombardieri o di caccia-intercettori. Con sorpresa mi sono accoro che, scrivendo, non avevo più incubi notturni! Dopo i primi racconti, questi personaggi hanno cominciato a vivere di vita propria, volando nuove ed avvincenti avventure a bordo del G 91 Yankee, l’aereo che è stato in dotazione per 24 anni al 101° Gruppo nella base di Cervia e sul quale ho effettuato più di duemila voli. È così che è nato il mio primo libro dal titolo “Buon volo, Maggiore”, un augurio che non si deve MAI fare a un pilota! Poi, la casa editrice Itaca ha pubblicato il secondo: “In bocca al lupo, Maggiore”. Il terzo libro, “Assalto all’Europa”, doveva essere il 13° racconto del libro “In bocca al lupo, Maggiore”, ma dopo ricerche, studi e approfondimenti è talmente cresciuto per dimensioni e natura che alla fine è diventato un romanzo storico.
DOMANDA: Ci può spiegare qual è la differenza tra l’essere piloti di caccia-bombardieri e di caccia-intercettori?
La differenza non è legata al tipo di velivolo, che può benissimo essere lo stesso per entrambi i ruoli, come lo è stato in Italia l’F 104 Starfighter che ricopriva sia il ruolo di intercettore che quello di bombardiere. Quello che cambia è lo scopo che si intende conseguire. Mentre gli intercettori si addestrano a difendere lo spazio aereo nazionale da velivoli che lo violano senza esserne autorizzati, i bombardieri si addestrano a violare spazi aerei altrui senza essere scoperti da radar ed intercettori. Fino alla fine degli anni ‘80 i bombardieri si addestravano a volare bassissimi e oltremodo veloci, utilizzando continuamente l’orografia del terreno per mascherare la propria presenza ai radar e agli intercettori. Certo non era facile volare a pelo degli alberi percorrendo 250 metri al secondo ma, data l’alta efficacia dei sistemi di difesa anti-aerei sovietici dell’epoca, imparare a volare così bassi poteva fare la differenza tra chi, in caso di conflitto, raggiungeva incolume l’obiettivo, lo sorvolava cercando di annientarlo e ritornava a casa, e chi invece veniva individuato ed abbattuto. Per raggiungere questa abilità occorreva addestrarsi costantemente tutti i giorni, sia con il bel tempo che con il brutto, sia in pianura che nelle strette valli alpine o appenniniche, ma soprattutto erano necessari uno studio approfondito e un’ottima pianificazione della missione prima di volarla. Così, ciò che a prima vista poteva sembrare un volare da spericolati o da esibizionisti, era invece dimostrazione di professionalità e sicurezza. Certo è che l’assidua concentrazione di questi voli logorava e stressava parecchio: ricordo che nel primo anno al Reparto tornavo dai voli condotti a bassissima quota completamente esausto e quando a sera rientravo a casa andavo a dormire subito. Ora le nuove strategie d’impiego dei caccia-bombardieri prevedono il volo a quote medio-alte e anche l’armamento è mutato: non è più previsto il sorvolo dell’obiettivo dato che l’armamento di precisione attuale consente di sganciarlo a notevole distanza dal target. Quindi oggigiorno è ormai una rarità sentire un caccia volare a bassa quota.
DOMANDA: Perché i piloti dei suoi racconti usano nomi di statisti o rivoluzionari sovietici?
Sulle tute grigio-verdi dei piloti ci sono molti distintivi: uno per il reparto di appartenenza, uno per la specialità, uno per il velivolo su cui si vola, uno per il grado e per ultimo vi è un distintivo in cui è indicato il nome di battaglia o nome in codice, che si utilizza sia in volo che a terra. In “Buon volo, Maggiore” racconto che i piloti del 101°gruppo avevano accettato entusiasticamente l’idea di utilizzare le generalità degli statisti sovietici perché sarebbe stata un’ulteriore sfida, anche se ironica, a quel monolitico potere cui nulla sfuggiva, neppure le comunicazioni radio tra i piloti del Gruppo! Ed è così che nei racconti trovano posto i nomi di Stalin, Lenin, Marx, Molotov, Beria, Trockij, Bakunin, Sverdlov, Kossighin, Kruscev, Podgorny e Breznev.
Domanda: Realtà e finzione volano veloci tra le pagine dei libri. Una fatica editoriale sui generis che non ha nulla a che fare con la «letteratura aeronautica» specifica. Con che sguardo devono essere letti i suoi libri?
La letteratura aeronautica italiana si suddivide principalmente tra biografie di piloti e libri tecnici che forniscono descrizioni dettagliate degli aerei e dell’operatività della nostra Aeronautica Militare. I miei scritti sono opere di narrativa, sono una specie di “incursione” in un mondo abbastanza sconosciuto ai più, ma anche molto affascinante che attira l’attenzione e la curiosità di tanti. Occorre però tenere sempre a mente che sono racconti, originali sì, ma pur sempre romanzati, che non vanno dunque interpretati come assolutamente veritieri. Andrebbero fatte due presentazioni: una per promuovere i libri e la seconda, con chi li ha letti, per rispondere a tutte le curiosità su dove termina la fantasia e dove inizia la descrizione vera. L’ultima parte dei tre libri, intitolata “Per saperne di più”, aiuta comunque il lettore ad approfondire la conoscenza di questo “mondo”. Aggiungo anche che scrivere con questo approccio non è stato per nulla semplice perché, da una parte, si può rischiare di descrivere questi piloti come degli spericolati che si divertono e ne combinano di ogni sorta, con il serio rischio di ridicolizzare o, peggio ancora, denigrare una professione estremamente seria e pericolosa com’è quella del pilota militare; dall’altra occorre comunque far vivere al lettore l’ebbrezza del volo, avvincerlo con episodi ricchi di suspense e di humour, talvolta esilaranti, alla Guareschi per intenderci. È un equilibrio non facile da trovare e comunque solo un pilota che ha vissuto tale esperienza, ed ha rischiato tante volte la vita, può “permettersi”, diciamo così, di scherzarci sopra e scriverci dei libri di narrativa!
Domanda: A chi vuole rivolgersi con questi libri e perché?
Sono libri per tutte le età e per tutti, donne incluse. Nei primi due libri i racconti sono brevi, accattivanti e di facile lettura. Ho cercato di descrivere e trasmettere “quasi dal vivo” le emozioni che si provavano volando su un caccia a reazione che percorre un chilometro in 4-5 secondi. Anche i termini tecnici aeronautici sono al minimo proprio per avvicinare tutti e non solo gli “addetti ai lavori”. Per quanto riguarda il terzo libro, “Assalto all’Europa”, è la mia risposta ai molti giovani che, durante la presentazione dei primi due libri, mi hanno domandato cosa sia stata la Guerra Fredda e se veramente si sia rischiata una guerra mondiale. Desidero aggiungere che i racconti dei tre libri sono ricchi di pensieri, frasi o episodi che esaltano l’umanità, la solidarietà e lo spirito di corpo, ma anche la domanda sul senso della vita dei protagonisti.
DOMANDA: Quale dei tre libri le piace di più?
Tutti e tre riflettono la grande passione per il volo che ho sempre avuto. Essendo stato un pilota da caccia dell’Aeronautica Militare, le descrizioni che faccio sono frutto delle mie esperienze in volo e a terra. Per cui non ho una preferenza particolare per uno dei tre libri. Semmai posso aggiungere che il successo del libro di esordio “Buon volo, Maggiore” mi ha stimolato a continuare a scrivere nuove avventure.
DOMANDA: Lei ha mai corso qualche pericolo in volo?
Sì, in particolare nel primo anno di volo presso il reparto operativo, in cui dovevo conseguire la “Combat Readiness”, ossia la capacità di condurre tutte le missioni di guerra assegnate al mio Reparto, che allora aveva due ruoli: bombardiere e ricognitore. Chiaramente conseguire tutte le qualifiche nella ricognizione e, in particolare, nel bombardamento (cioè nel mitragliamento con i due cannoni da 30mm, bombardamento a volo radente, a medio ed alto angolo di attacco), essere in grado di raggiungere l’obiettivo più distante con uno scarto massimo di un minuto, volare a bassa quota anche di notte, volare di giorno con visibilità dichiarate di 1,5 km (che in realtà, soprattutto in val Padana, in inverno, si traducevano nel vedere solo in verticale e non davanti), volare nelle strette valli alpine o appenniniche senza mai distrarsi neppure un secondo, ecco, tutto ciò non è mai stato esente da pericoli. Poi tutti i caccia-bombardieri, tutti i caccia-ricognitori, gli elicotteri ma anche i velivoli da turismo e gli ultraleggeri volavano alla stessa nostra quota (o poco più alti) e le mancate collisioni erano all’ordine del giorno. Ma a parte questo tipo di pericoli, ricordo in particolare tre episodi. Nel primo avevo sparato una raffica con il cannone nel bersaglio posto nel poligono di Capo Frasca, in Sardegna. Nella fase di richiamata a circa 500 metri di quota, uno dei proiettili da me sparati è rimbalzato in alto e in fase di ricaduta ha colpito il tettuccio del mio velivolo, frantumandolo, a circa una spanna dalla mia testa. A terra ho scoperto che la centina in ferro del tettuccio, larga due dita, aveva deviato il colpo da 30mm che era diretto verso il mio casco. Volavo a 800 km/h e altrettanto il proiettile in caduta: cosa sono due dita a quelle velocità? Questo evento di pericolo fa parte dei racconti del primo libro.
Nel secondo episodio mi trovavo a metà strada tra la Danimarca e la Norvegia, sul Mare del Nord. Improvvisamente ho sentito un gran botto sotto al sedile, tante luci sul display delle emergenze si sono accese, la temperatura del motore sinistro ha iniziato a scendere repentinamente e un istante dopo anche in quello destro. C’era un silenzio irreale perché quel ronzio, a cui ci si faceva presto l’orecchio e che ci assicurava del buon funzionamento dei due reattori, era improvvisamente svanito e con lui anche la spinta all’aereo che aveva iniziato a precipitare. Fortunatamente volavo ad alta quota (24.000 piedi, pari a 8 km di altitudine). Ho mantenuto la velocità prevista per effettuare la riaccensione calda, ma né il primo né il secondo motore si sono accesi. Allora sono passato alla procedura di riaccensione fredda. Solo dopo il secondo tentativo il primo motore si è riacceso e poco dopo anche il secondo, ma intanto mi ero già mangiato un paio di km di quota e forse altrettanti compleanni!
Nel terzo episodio avevo lasciato la verticale di Bagno di Romagna e dopo tre minuti ero arrivato basso e veloce in prossimità dell’obiettivo. Qui ho effettuato la classica manovra del “Pull up”, che consiste nel salire rapidamente alla quota prevista per il tipo di armamento che si intende sganciare, quindi si rovescia completamente il velivolo e con la testa in giù, picchiando verso il suolo a 800 km/orari, si cerca di individuare l’obiettivo – quel giorno grazie anche alle indicazioni fornite da un mio collega pilota che si trovava su una jeep dotata di radio. Nella fase in cui ero completamente rovesciato, il pilota sulla jeep ha cominciato a urlare di abbassare il muso e l’ha ripetuto per ben tre volte, poi ha intimato di raddrizzare, cosa che ho naturalmente fatto immediatamente. Purtroppo una volta raddrizzate le ali mi sono trovato una bella montagna davanti ed io ero molto basso (da rovescio non potevo vederla). Nonostante avessi inserito i post-bruciatori, che mi davano una spinta aggiuntiva, l’aereo, che era ancora strapieno di carburante, non ne voleva sapere di salire di quota. Sono stati attimi terribili. Poi, finalmente ha ripreso quota e sono ancora vivo.
DOMANDA: E quali sono invece i voli più belli che ama ricordare?
Nella prima navigazione notturna che feci da allievo a Lecce mi trovavo ad alta quota nel tratto Taranto-Brindisi. Era una notte stellata stupenda: si vedeva addirittura il faro di Corfù, in Grecia. Ho spento tutte le luci dentro e fuori al velivolo per non essere disturbato da tutti quei riflessi colorati. Mi sono immerso così nell’immenso buio del cielo e ho potuto ammirare tutto quel ben di Dio che di solito neppure ci accorgiamo di avere sopra la testa: è stato bellissimo.
Sempre in quel periodo, per qualche giorno sono stato a casa in licenza. Una mattina mi sono svegliato presto e c’era un gran bel sole e a me è venuta una voglia matta di volare. Ho salutato tutti e ho preso il primo treno per Lecce. Vicino a Brindisi ho visto due Macchi MB 326 (l’aereo su cui volavo in quel periodo) che sfrecciavano bassi, lungo la costa. La voglia di volare è aumentata ancor più. Finalmente sono arrivato alla base aerea di Lecce, ho indossato la tuta e sono corso in sala operazioni. Il Comandante di Gruppo mi ha visto e mi ha chiesto: “Beh, che fai qui? Non eri in licenza?” Mi ha guardato meglio, poi ha aggiunto: “Ho capito. Lo vedi quel velivolo lì? Beh, dobbiamo fare una formazione in quattro e ci mancava proprio un pilota. Andiamo e non mollare l’ala, se no ti rispediamo a Faenza!”.
Un altro bel volo è capitato in una delle ultime missioni sull’MB 326. Prima della messa in moto, si è avvicinato il mio istruttore che, lisciandosi i lunghi baffi alla mongola, mi ha detto: “Ti ricordi le tecniche del combattimento aereo? Bene, in volo tieni gli occhi aperti!”.
Dopo il decollo abbiamo raggiunto la zona assegnata e io ho perso di vista l’istruttore, eppure era lì, in ala. Ho rovesciato l’aereo e guadagnato velocità picchiando sempre più. Ho guardato disperatamente verso destra, a sinistra, in su, finalmente l’ho visto che si stava avvicinando per mettersi in coda – che è la migliore posizione per far fuoco. Ho applicato la tecnica della “forbice”, cioè ho iniziato a zigzagare continuamente a destra e a sinistra. Era sempre lì, non si allontanava ma neanche si avvicinava. Tiravo 7 G, ero al limite strutturale dell’aereo, il casco era bloccato per l’accelerazione, la vista si è annebbiata ma non ho mollato e nella successiva virata di 360° mi sono separato ulteriormente da lui. “Ok, torniamo a casa” mi ha detto l’istruttore. Sono sceso dall’aereo ancora rosso in viso per lo sforzo sostenuto. L’istruttore mi si è avvicinato serio. Finalmente ha sorriso e stringendomi la mano mi ha detto: “Bravo, ti faccio i miei complimenti, sei stato veramente in gamba e stavolta ti offro da bere io!”.
Altri voli belli sono raccontati nei libri “Buon volo, Maggiore” e “In bocca al lupo, Maggiore” attraverso il personaggio di Lenin in cui mi sono identificato.
Domanda: “Assalto all’Europa” è il suo terzo libro. È l’ultimo o è pronto a decollare per nuove avventure letterarie?
Ho altri racconti nel cassetto e idee per altri, quindi direi che ho proprio voglia di continuare a condividere con tutti le mie esperienze di volo. Ma intanto, vi invito a salire, con le ali della fantasia, sull’agile e veloce Yankee e vi auguro “buona lettura”, iniziando da “Buon volo, Maggiore”.